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Ti Trovi:Home » Sicurezza informatica » Hacking delle reti wireless

Hacking delle reti wireless

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Pubblicato da Come fare a... il 21/05/2016 Sicurezza informatica
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Le reti wireless si stanno diffondendo tra gli utenti sempre di più e spesso senza un minimo di sicurezza. Ma sapete come può venire attaccata la vostra rete? Scopritelo in questo articolo, può essere utile conoscere le operazioni messe in atto da un aggressore al fine di operare illecitamente all’interno di una rete di tipo wireless.

I pericoli delle reti wireless

A differenza di quanto avviene nell’ambito delle reti cablate tradizionali, le tecniche di hacking delle reti wireless possono contare su un nuovo elemento che complica notevolmente il tutto, un qualcosa che, paradossalmente, rende più agevole il compito degli aggressori ingigantendo le difficoltà di chi opera legittimamente per garantirsi la propria sicurezza.
Il nuovo elemento è rappresentato dalla possibilità per l’aggressore di agire in modo totalmente anonimo, in quanto, non avendo la necessità di connettersi fisicamente alla rete presa di mira, egli può svolgere le sue operazioni tenendosi a debita distanza. Questa è la ragione per la quale, in concomitanza quasi perfetta con la diffusione delle tecnologie di tipo wireless, è nata una nuova modalità di hacking denominata wardriving.
Lo scopo di chi opera il wardriving è quello di guadagnarsi una connessione abusiva a una rete privata o pubblica, come per esempio, Internet, attraverso lo sfruttamento abusivo di una rete senza fili.
Gli strumenti principali adoperati da coloro che mettono in pratica il wardriving sono essenzialmente tre: un computer portatile munito di adattatore di rete wireless, un veicolo per gli spostamenti e un apposito software.
Non è infrequente, inoltre, l’utilizzo di un sistema satellitare di rilevamento tipo GPS, in abbinamento al software utilizzato (molti ne contemplano l’uso), al fine di ottenere la mappatura (quella che in gergo viene definita wireless mapping) dei punti di accesso rilevati.
Tempo addietro, invece degli attuali sistemi GPS, i wardriver adoperavano dei gessetti colorati con i quali marcavano, utilizzando un apposito simbolismo, i muri degli edifici
o i marciapiedi al fine di indicare il tipo di punto di accesso rilevato. Nata oltreoceano, questo tipo di tecnica oggi inizia a diffondersi anche nel nostro Paese e, infatti, non è difficile reperire in Internet delle mappe dettagliate dei punti di accesso identificati in questo modo, relativi ad alcune grandi metropoli italiane. La possibilità che un aggressore sia in grado di rilevare e utilizzare senza sforzi uno di questi punti d’accesso è, ovviamente, subordinata alla totale assenza di meccanismi di protezione o, quantomeno, all’inadeguata configurazione di questi ultimi.

Le tecniche e gli strumenti

Anche in questo particolare settore del networking sono presenti tecniche e strumenti creati allo scopo di violare i sistemi di protezione eventualmente presenti e penetrare abusivamente all’interno di una rete.
Molti di questi metodi/strumenti sono gli stessi che vengono abitualmente adoperati per compiere analoghe operazioni sulle reti tradizionali di tipo cablato. Altri, invece, sono stati realizzati appositamente per operare in questo ambito specifico.
Riguardo al processo di hacking, gli addetti ai lavori effettuano una differenziazione basata sul tipo di informazioni iniziali che sono in possesso del potenziale aggressore nel momento in cui questo decide di compiere un attacco: si parla di full knowledge quando egli dispone già dei dati relativi, almeno, al canale di ricetrasmissione adoperato dall’access point e agli indirizzi fisici MAC di quest’ultimo e della macchina client; in caso contrario, cioè in assenza di ogni informazione iniziale, si parla di zero knowledge.
In assenza totale o parziale di informazioni, l’aggressore è costretto ad adoperare appositi software in grado di fornirgli i dati mancanti. Tra i tanti prodotti oggi disponibili, quelli che offrono i migliori risultati e, proprio per questa ragione, risultano tra i più adoperati, sono i software che compongono la suite denominata aircrack-ng, descritti nella tabella 1.

ProgrammaCompito svolto
Airmon-ngPone l’adattatore di rete wireless in modalità monitor
Airodump-ngCattura dei pacchetti in transito (sniffer)
Aireplay-ngImmissione in rete di pacchetti appositamente assemblati (packet injection)
Aircrack-ngDecodifica delle chiavi crittografiche statiche di tipo WEP/WPAPSK (cracker)
Airdecap-ngDecodifica dei file catturati contenenti il traffico WEP/WPA
Packetforge-ngPermette di creare pacchetti arbitrari (UDP, ICMP ecc.) criptati
Airtun-ngIl compito principale è quello di creare un’interfaccia di rete virtuale in grado di ricevere una copia del traffico wireless criptato

Tabella 1: composizione della suite aircrack-ng

Occorre sottolineare che questi software, originalmente concepiti per le piattaforme Linux, operano correttamente solo con alcuni tipi di adattatori di rete wireless, quindi è indispensabile assicurarsi preventivamente che l’hardware utilizzato sia compatibile con essi.
Una volta accertato, attraverso la consultazione del manuale o tramite una ricerca su Internet, quale tipo di chipset utilizza l’adattatore di rete wireless in nostro possesso, è possibile verificarne la compatibilità con aircrack-ng tramite le informazioni presenti sul sito del produttore: al momento della stesura di questo articolo esse erano disponibili nell’area denominata Other Documentation, sotto la voce Compatibility, Drivers, Which Card to Purchase.
Essendo Linux l’ambiente nativo di questa suite, i successivi esempi di utilizzo saranno fatti riferendosi a questo sistema operativo. In ogni caso, l’eventuale trasposizione di quanto detto in ambiente Microsoft Windows (pur con alcune limitazioni) non comporta particolari difficoltà: le implementazioni Windows della suite, al momento, non permettono l’utilizzo del software aireplay-ng per il packet injection in ambiente 802.11 e, proprio per questa ragione, coloro che desiderano utilizzare appieno le funzionalità di questo software sono costretti a orientarsi verso alternative di tipo commerciale. Esiste, comunque, una soluzione di ripiego anche per coloro che non intendono acquistare un prodotto commerciale e, allo stesso tempo, non hanno alcuna intenzione di far migrare i loro sistemi verso piattaforme Unix like.
Il rimedio è rappresentato dalle distribuzioni Linux di tipo live CD/DVD (distribuzioni che si avviano direttamente da CD/DVD e non richiedono alcuna installazione come, per esempio, quella denominata Backtrack), che sono orientate alla verifica della sicurezza dei sistemi e, proprio per questa ragione, contengono tutto il software necessario per questo utilizzo.

Fonti: Aircrack-ng; Backtrack. 

Articolazione di un attacco

Prima di addentrarci nel dettaglio delle operazioni che caratterizzano l’hacking delle reti wireless, proviamo a delineare in modo sintetico quale sia la cronologia di un tipico attacco di questo genere: l’obiettivo è quello di descrivere sia la sequenza temporale sia il tipo di operazioni effettuate.
Occorre premettere che il successo in questo genere di azioni non è assolutamente garantito, in quanto esso dipende sia dall’abilità dell’aggressore sia dal livello di vulnerabilità della rete: un uso errato o inefficace degli strumenti software e/o un livello di protezione particolarmente avanzato nella rete oggetto dell’attacco renderanno certamente vani gli sforzi dell’aggressore.
Nella tabella 2 non è menzionata la fase preliminare comprendente tutte le operazioni di installazione e di verifica dei software che costituiscono la suite aircrack-ng. Le informazioni riportate, estremamente sintetiche, verranno analizzate e approfondite successivamente.

FaseSoftware adoperatoObiettivo da conseguire
1Airmon-ngPredisposizione dell’adattatore di rete wireless nella modalità definita monitor
2Airodump-ngCattura del traffico di rete, in particolare di quello relativo agli IV (Initialization Vector)
3Aireplay-ngOperazione opzionale da eseguire qualora, attraverso la fase 2, non si siano raccolti sufficienti IV per la successiva fase di decodifica
4Aircrack-ngAnalisi del file di cattura generato nella fase 1 da airodumpng al fine di individuare la chiave adoperata
5Strumenti di sistemaQualora nonostante l’individuazione della chiave non si riesca ad accedere alla rete, è possibile tentare alcune operazioni come la modifica dell’indirizzo IP o MAC; nel caso di segnale debole, si può anche provare a cambiare la posizione della macchina adoperata
6Strumenti di sistemaUna volta in possesso delle informazioni è possibile connettersi alla rete attraverso gli strumenti standard offerti dal sistema operativo; se nell’access point è stata inibita la diffusione dell’SSID (Service Set Identifier), è possibile ricavarlo con Aircrack-ng

Tabella 2: articolazione di un attacco

Fase 1 - Utilizzo di airmon-ng

Questo comando, in pratica, è uno script che pone l’adattatore di rete wireless nella modalità monitor, che permette di accedere a tutto il traffico di rete indipendentemente dal fatto che sia diretto o meno verso la nostra macchina.
L’utilizzo preventivo del comando airmon-ng, senza alcun parametro, permette di visualizzare interfaccia, chipset e driver dell’adattatore di rete installato e correttamente riconosciuto dal sistema operativo:> airmon-ng Interface Chipset Driver eth1      HermesI orinocoUn successivo utilizzo con il parametro start porrà l’adattatore nella modalità monitor:> airmon-ng start eth1 Interface Chipset Driver eth1      HermesI orinoco (monitor mode enabled)Volendo, è possibile specificare il canale sul quale far operare l’adattatore di rete, attraverso l’aggiunta del numero di canale al termine della riga di comando:> airmon-ng start eth1 5 Interface Chipset Driver eth       HermesI orinoco (monitor mode enabled)L’indicazione monitor mode enabled al fianco del tipo di driver segnala il successo dell’operazione: a questo punto si è pronti per la fase successiva.Fase 2 – Utilizzo di airodump-ngIl software airodump-ng si occupa di catturare i pacchetti relativi al traffico di rete 802.11; i file da esso creati saranno indispensabili per la successiva fase di decodifica delle chiavi WEP mediante l’utilizzo degli IV (Initialization Vector) intercettati.
Ogni pacchetto catturato possiede un proprio IV della lunghezza di tre byte: dopo aver intercettato un numero adeguato di pacchetti, è possibile tentare la decodifica della chiave WEP utilizzata nella rete attraverso l’esecuzione con aircrack-ng di una serie di attacchi statistici KoreK (una serie di attacchi molto efficienti sviluppati da un personaggio soprannominato KoreK). Nel successivo esempio è stato scelto myfile come prefisso per i file di cattura generati (che avranno, comunque, estensione .ivs), mentre il nome dell’adattatore di rete è quello identificato in precedenza tramite il comando airmon-ng:> airodump-ng –w myfile eth1Airodump creerà due file dal nome myfile.cap (traffico intercettato) e myfile.txt (dati di tipo statistico). Come impostazione predefinita airodump-ng opera su tutti i canali da 1 a 11, commutando automaticamente in modo da coprire l’intera gamma dei 2,4 GHz: questa impostazione predefinita può essere liberamente modificata dall’utente.
Nella tabella 3 è possibile osservare le opzioni relative all’utilizzo di airodump-ng.

OpzioneDescrizione
–ivsDurante l’operazione di cattura del traffico si limita a salvare solo gli IV (Initialization Vector)
–gpsdAbilita l’utilizzo di un sistema GPS per la registrazione delle coordinate degli access point
–write <nome>Indica quale prefisso avranno i file con estensione .ivs generati da Airodump-ng
–beaconsAbilita la registrazione delle informazioni di tipo beacon
–encrypt <suite>Filtra gli access point in base al tipo di cifratura utilizzata
–netmask <netmask>Filtra gli access point in base alla maschera di rete
–bssid <bssid>Filtra gli access point in base al BSSID
-aFiltra le macchine client non associate
–channel <channels>Intercetta solo il traffico relativo al canale indicato
–band <abg>Specifica la banda dove operare in modo automatico (hop mode)
Cswitch <method>Modalità con la quale effettuare il cambio di canale automatico (hop mode):
0 = FIFO (predefinita); 1 = round robin; 2 = hop on last

Tabella 3: opzioni relative a airodump-ng

Per una maggiore comodità di utilizzo, è possibile scrivere le opzioni utilizzando la prima lettera del nome preceduta da un solo trattino (short form). Per esempio, al posto di –write è possibile adoperare -w.
Durante il suo utilizzo, airodump-ng visualizza un elenco sia dei dispositivi access point rilevati sia delle macchine client da questi servite (associate e non associate). L’interruzione dell’attività di cattura dei pacchetti avviene mediante l’utilizzo della combinazione di tasti Ctrl+C.
Il risultato finale, al termine della fase di cattura, sarà qualcosa di simile:

BSSID              PWR Beacons #Data CH MB ENC ESSID
 08-00-17-18-12-83   12      11    99 11 22 WEP Amee

BSSID              STATION            PWR Packets ESSID
 08-00-17-18-12-83  00:15:11:20:14:2C   23     512 Amee

Cerchiamo adesso di descrivere il significato dei campi che compongono l’output del comando.
La prima area (quella in alto) è dedicata alle informazioni relative ai dispositivi access point rilevati, ed è strutturata come descritto nella tabella 4.

CampoContenuto
BSSIDIndirizzo MAC dell’access point
PWRLivello del segnale: un numero alto indica la vicinanza all’access point; un valore uguale a -1 indica il mancato supporto di questa funzionalità da parte del driver in uso
BeaconsNumero degli annunci (beacon) inviati dall’access point: esso ne invia circa una decina al secondo
#DataNumero dei pacchetti catturati inclusi quelli di tipo broadcast: nel caso sia in uso il sistema di protezione WEP, viene rilevato il numero degli IV diversi
CHNumero del canale, rilevato tramite la lettura dei beacon ricevuti
MBVelocità massima che l’access point è in grado di supportare
(11 = 802.11b, 22 = 802.11b+, maggiore di 22 = 802.11g)
ENCAlgoritmo di cifratura utilizzato (OPN = in chiaro, WEP? = WEP o WPA, WEP = WEP statico/dinamico, WPA = utilizzo di TKIP o CCMP)
ESSIDIndica il SSID dell’access point. Nel caso l’emissione di questo sia stata disabilitata, il programma tenta di recuperarlo dalle risposte alle richieste di associazione

Tabella 4: output del comando airodump-ng (prima parte)

Nella parte in basso, invece, sono riportate le informazioni relative ai client della rete in esame, vedi tabella 5.

CampoContenuto
BSSIDIndirizzo fisico MAC dell’access point al quale la macchina è associata
STATIONL’indirizzo fisico MAC address della macchina associata
PWRLivello del segnale (valgono gli stessi criteri già visti in precedenza)
PacketsNumero dei pacchetti catturati
ESSIDIndica il SSID dell’access point al quale la macchina è associata

Tabella 5: output del comando airodump-ng (seconda parte)

Una volta che sono stati visualizzati tutti gli access point a distanza di rilevamento, è possibile restringere l’operato di airodump-ng verso un solo canale specifico, attraverso l’opzione channel.
Presupponendo che il canale da selezionare sia il numero 5, scriveremo:

> airodump-ng –w myfile –c 5 eth1

Riepilogando, il canale adoperato è soltanto il numero 5, l’interfaccia di rete wireless selezionata è eth1 e, infine, i nomi dei file generati saranno myfile-01.cap/myfile-01.txt, myfile-02.cap/myfile-02.txt e così via (ricordiamo che i file creati da airodump-ng sono due: uno contenente i dati veri e propri, con estensione .cap, e uno di tipo statistico, con estensione .txt).
Otterremo quindi qualcosa di simile a quanto visto in precedenza, ma con il campo d’azione ristretto a un solo canale:

BSSID              PWR Beacons #Data CH MB ENC ESSID
 08-00-17-18-12-83   12      11    99  5 22 WEP Amee

BSSID              STATION           PWR Packets ESSID
 08-00-17-18-12-83  00:15:11:20:14:2   23     512 Amee

Dato che il successo della successiva operazione di decodifica del traffico catturato dipende dal numero di IV intercettati e che ciò è fortemente legato al modo in cui la rete sta operando, per evitare lunghe attese (anche di giorni) è talvolta necessario, come vedremo nella prossima fase, mettere in opera degli stratagemmi in grado di forzare l’emissione in rete di questi IV.

Nota
Nell’ambito delle operazioni di wardriving, qualora adoperato insieme a un dispositivo GPS, airodump-ng è in grado di registrare in modo automatico le coordinate relative agli access point intercettati.

Fase 3 – Utilizzo di aireplay-ng

Attraverso l’utilizzo di aireplay-ng si possono inviare in rete dei pacchetti opportunamente realizzati, effettuando quello che in gergo tecnico viene indicato con il termine di packet injection.
Abbiamo inizialmente premesso che l’esecuzione di questa fase è subordinata al risultato della fase 2, cioè la fase di raccolta dei dati svolta tramite airodump-ng: quando gli IV raccolti non sono sufficienti per la decodifica della chiave in uso, oppure quando i tempi occorrenti per questa raccolta sono troppo elevati, è possibile tentare di accelerare l’emissione di IV attraverso l’invio in rete (tramite aireplay-ng) di un certo tipo di traffico. Il compito principale di questo software, infatti, è proprio l’invio di pacchetti opportunamente forgiati per agevolare le operazioni di decodifica delle chiavi WEP e WPA-PSK. Vedremo come sia possibile compiere questa operazione attraverso vari metodi come, per esempio, la deautenticazione forzata di una macchina client in precedenza regolarmente associata o la cattura delle informazioni relative al processo di handshake.

Nota
Per poter effettuare correttamente operazioni di packet injection, molti adattatori di rete wireless necessitano l’applicazione di un’apposita patch; al momento della stesura di questo articolo, il software supportava solo i chipset Prism2, PrismGT (FullMAC), RTL8180, Atheros, RTL8187, ACX1xx, Ralink e Zydas, mentre, non supportava il packet injection su Hermes, Centrino, Marvell, Aironet e Broadcom.

Come già accennato all’inizio, non è possibile effettuare questo genere di operazione sui sistemi della famiglia Microsoft Windows e, inoltre, anche per effettuare solo le operazioni di cattura, occorre installare appositi driver modificati, in quanto quelli standard forniti dai produttori non supportano questa funzione: è possibile trovare questi particolari driver sul sito della wild packets; sempre al momento della stesura di questa parte del articolo, nessun adattatore di rete di tipo USB risultava supportato.
Dalle informazioni che è possibile rilevare sui forum dedicati a queste problematiche, emerge che i chipset che offrono il miglior livello di compatibilità e affidabilità sono l’Atheros e il Ralink. Pertanto, qualora non si sia già in possesso di un adattatore di rete wireless compatibile, si consiglia di tenere conto di questa indicazione.
Successivamente, verranno illustrati i sei attacchi, numerati da 0 a 5 nella documentazione ufficiale, che è possibile effettuare con aireplay-ng: in realtà, il numero complessivo degli attacchi disponibili è sette, in quanto esiste un cosiddetto attacco 9 che ha lo scopo di verificare la funzionalità di packet injection sulla macchina da adoperare per l’attacco.

Attacco di tipo Deauthentication

Classificato come attacco numero zero, il suo scopo è quello di togliere l’associazione esistente a uno o più client precedentemente associati a un access point.
Le ragioni che giustificano un attacco del genere sono diverse, come per esempio:

  • l’ottenimento dell’identificatore EDDID del dispositivo access point qualora il broadcast di questo sia stato appositamente inibito (cloaked);
  • l’intercettazione del traffico relativo alla procedura di handshake WPA/WPA2 (processo iniziale di dialogo) attraverso la forzatura a un nuovo processo di autenticazione delle macchine già regolarmente autenticate;
  • la generazione di traffico del tipo ARP Request (in pratica, esso simula uno svuotamento della cache ARP di un client Windows durante la fase di disconnessione dalla rete).

Nota
ARP è l’acronimo di Address Resolution Protocol, protocollo di risoluzione degli indirizzi operante nel livello Internet; esso risolve la corrispondenza tra indirizzi IP e indirizzi fisici MAC all’interno delle reti locali.

L’esecuzione di un attacco di questo genere è subordinata alla presenza di uno o più client wireless correttamente associati all’access point (operazione realizzabile anche artificialmente mediante un attacco fake authentication).
Nell’esempio successivo è possibile osservare un tipico utilizzo di questo metodo:

> aireplay-ng -0 10 -a [MAC-ACCESS-POINT] -c [MAC-CLIENT] eth1

Il primo parametro (-0) indica il tipo di attacco (deauthentication), mentre il secondo
(10) stabilisce il numero di volte che occorre deautenticare la macchina client (impostando questo parametro a zero, il processo continuerà senza mai arrestarsi). Successivamente, deve essere indicato l’indirizzo MAC dell’access point (-a) e del client da associare (-c) e, per ultimo, il nome dell’interfaccia di rete wireless.
Il risultato che si dovrebbe ottenere è il seguente:

08:05:18 Sending DeAuth to station -- STMAC: [MAC-CLIENT]

Esso indica l’avvenuto invio all’access point dei pacchetti che forzeranno la deautenticazione del client identificato dall’indirizzo MAC MAC-CLIENT.

Nota
Riferimenti: RFC 826 (Ethernet Address Resolution Protocol: or converting network protocol addresses to 48 bit Ethernet address for transmission on Ethernet hardware).

Attacco di tipo Fake Authentication

Classificato come attacco numero uno, permette l’esecuzione di due diversi tipi di autenticazioni WEP, quella denominata open system e quella denominata shared key.
Esso permette, inoltre, l’associazione della macchina in uso all’access point, consentendo in questo modo l’effettuazione di alcuni tipi di attacco (come, per esempio, quello deauthentication descritto in precedenza) quando non sono presenti in rete altri client associati.
In alcuni casi, a seconda del dispositivo di accesso presente in rete, potrebbe essere necessario reiterare questa finta associazione allo scadere di un certo intervallo temporale.
Questo problema può essere risolto tramite l’utilizzo di una particolare opzione che fissa l’intervallo di tempo dopo il quale deve essere avviato un nuovo processo di associazione: 

> aireplay -1 20 -e ‘SSID’ -a [MAC_ACCESS_POINT] -h [MAC_DA_ASSOCIARE]eth1

Nell’esempio precedente il primo parametro (-1) indica il tipo di attacco (fake authentication), mentre il secondo stabilisce dopo quanti secondi occorre avviare un nuovo processo di riassociazione (20). Successivamente, occorre indicare il nome della rete wireless (-e), l’indirizzo MAC dell’access point (-a) e del client da associare (-h) e, infine, il nome dell’interfaccia di rete da adoperare.
L’indirizzo MAC del client da associare è quello della macchina che sta effettuando l’attacco e può essere modificato nel modo seguente:

> ifconfig eth1 down
 > ifconfig eth1 hw ether [MAC_DA_ASSOCIARE]
 > ifconfig eth1 up

Il risultato, in caso di esito positivo, sarà qualcosa di simile:

10:18:02 Sending Authentication Request
 10:18:02 Authentication successful
 10:18:02 Sending Association Request
 10:18:03 Association successful :-)

Piuttosto che utilizzare un indirizzo MAC inventato è preferibile adoperarne uno realmente esistente sulla rete in esame, per poi provvedere alla sostituzione non appena se ne presenti la possibilità.

Nota
Questa finta autenticazione, a differenza di una regolare, non genera alcun traffico di tipo ARP.

Attacco di tipo interactive packet replay

Classificato come attacco numero due, consente di selezionare quali pacchetti inviare in risposta. Questo può essere fatto in due differenti modi o, per meglio dire, da due differenti fonti: è possibile utilizzare il traffico reale proveniente dall’adattatore di rete wireless, oppure utilizzare un apposito file di tipo pcap.
Quest’ultimo è un file realizzato nel formato standard Packet CAPtured adoperato da molti software di sniffing sia commerciali sia open source, come per esempio tcpdump.
Essi, attraverso l’utilizzo di una particolare libreria denominata libcap, sono in grado di catturare il traffico di rete operando in modalità promiscua; il traffico catturato può essere salvato all’interno di un file di tipo pcap e questo rende possibile il differimento nel tempo di alcune operazioni.
Riassumendo, lo scopo di questo attacco è quello di riciclare un certo tipo di traffico, catturato o disponibile attraverso un file pcap, al fine di raggiungere un determinato obiettivo.
Non si possono riutilizzare tutti i tipi di pacchetti, ma solo quelli che possiedono alcune specifiche caratteristiche tali da indurre l’access point a produrre nuovi IV.
Un primo esempio circa l’uso di questo comando si svolge nell’ambito di una rete wireless dove esiste un client regolarmente associato a un access point, un client di cui conosciamo l’indirizzo fisico MAC: 

> aireplay-ng -2 -b [MAC_AP] -d FF:FF:FF:FF:FF:FF -t 1 eth1

Il primo parametro (-2) indica il tipo di attacco (interactive packet replay), il secondo (b) limita la cattura ai soli pacchetti provenienti dall’access point avente l’indirizzo MAC indicato, il terzo (-d) stabilisce quali sono i pacchetti da catturare (in questo caso l’indirizzo MAC FF:FF:FF:FF:FF:FF indica i pacchetti di tipo broadcast) e infine è indicata l’interfaccia di rete.
A questo punto verrà chiesta all’utente una conferma circa l’utilizzo dei pacchetti catturati e, in seguito a questa, essi verranno immessi in rete e, contemporaneamente, verrà creato un file con estensione cap contenente il traffico in questione: il successivo utilizzo di airodump-ng permetterà la cattura delle risposte a questi pacchetti.
Una variante del sistema appena visto permette di giungere allo stesso risultato:

aireplay-ng -2 -b [MAC_AP] -t 1 -c FF:FF:FF:FF:FF:FF -p 0841 eth1

Le varianti, in questo caso, sono il parametro -t, che limita l’operazione ai soli pacchetti aventi il flag to distribution system attivo, e il parametro p, dove il numero 0841 imposta il frame control field (esso è formato dall’unione di undici sottocampi) in accordo con quello utilizzato dai client wireless.
Il numero degli IV al secondo ottenibile con questo metodo dipende dalle dimensioni dei pacchetti selezionati: minori sono le dimensioni di questi, maggiore è la frequenza di generazione degli IV.

Fonti: tcpdump e libpcap library. 

Attacco di tipo ARP request replay

Classificato come attacco numero tre, rappresenta uno degli attacchi più efficaci per la generazione di nuovi IV.
Esso intercetta il traffico di tipo ARP e, successivamente, lo rinvia verso l’access point allo scopo di costringere quest’ultimo a replicare attraverso l’invio di un nuovo IV; la reiterazione continua di questo processo procura una generazione massiccia di nuovi IV. 

Nota
Al fine di effettuare dei test, è possibile generare pacchetti di tipo ARP semplicemente effettuando un ping verso un indirizzo inesistente della nostra rete.

Nel prossimo esempio è possibile osservare la sintassi relativa a questo tipo di attacco:

aireplay-ng -3 -b [MAC_AP] -h [MAC_CLIENT] eth1

Il primo parametro (-3) indica il tipo di attacco (ARP request replay), mentre il secondo (-b) ed il terzo (-h) sono, rispettivamente, l’indirizzo MAC dell’access point e quello di un client associato (anche attraverso una fake authentication). L’ultimo parametro, come al solito, indica l’interfaccia di rete.

Attacco di tipo KoreK chopchop

Classificato come attacco numero quattro, sebbene si riveli inefficace con la maggior parte degli access point, può essere eseguito per tentare di decifrare un pacchetto di dati codificato tramite una chiave WEP statica o dinamica. Esso non è in grado di individuare la chiave usata per la crittografia dei dati, ma permette esclusivamente la visione in chiaro dei dati stessi.
Come accennato in precedenza, esso basa il suo funzionamento su una vecchia vulnerabilità non più presente nei recenti access point.
Per poter operare questo attacco, ovviamente, occorre entrare in possesso di almeno un pacchetto di dati codificato tramite WEP.
L’utilizzo tipico di questo attacco è il seguente: 

> aireplay-ng -4 -h [MAC_CLIENT] -b [AP_CLIENT] eth1

Il primo parametro (-4) indica il tipo di attacco (KoreK chopchop), mentre il secondo (-h) e il terzo (-b) sono rispettivamente l’indirizzo MAC di un client associato (anche attraverso una fake authentication) e l’indirizzo MAC dell’access point. L’ultimo para-metro è l’interfaccia di rete.
Dopo la solita conferma circa l’utilizzo dei pacchetti, in caso di successo dell’operazione verrà mostrata una lunga serie di dati terminante con le seguenti righe:

The AP appears to drop packets shorter than 35 bytes.
 Enabling standard workaround: ARP header re-creation.

Saving plaintext in replay.cap
 Saving keystream in replay.xor

Completed in 37s (1.18 bytes/s)

Il file con estensione xor potrà essere adoperato con il software packetforge-ng, mentre il file in chiaro, avente estensione .cap, potrà essere letto attraverso diversi software come, per esempio, tcpdump.

Attacco di tipo fragmentation

Quest’ultima modalità, classificata come attacco numero cinque, riesce a identificare il cosiddetto PRGA (Pseudo Random Generation Algorithm), senza però identificare la chiave WEP in uso: il PRGA potrà poi essere utilizzato per la generazione di pacchetti attraverso packetforge-ng.
In questo caso il presupposto indispensabile è la presenza di un pacchetto inviato dal dispositivo access point.
Il suo utilizzo è il seguente: 

aireplay-ng -5 -b [MAC_AP] -h [MAC_SOURCE] eth1

Il primo parametro (-5) indica il tipo di attacco (fragmentation), mentre il secondo (-b) e il terzo (c) sono rispettivamente l’indirizzo MAC dell’access point e quello da scrivere nel campo source dei pacchetti inviati; l’ultimo parametro è sempre l’interfaccia di rete. In questo comando è possibile avvalersi di diverse opzioni di filtraggio e replica, riassunte nelle tabelle 7 e 8.

Opzioni di filtroDescrizione
b bssidIndirizzo MAC dell’access point
-d dmacIndirizzo MAC di destinazione
-s smacIndirizzo MAC di origine
-m lenLunghezza minima dei pacchetti
-n lenLunghezza massima dei pacchetti
-u typeTipo di campo Frame Control
-v subtTipo di sottocampo Frame Control
-t todsFrame Control, To DS bit
f fromdsFrame Control, From DS bit
-w iswepFrame Control, WEP bit

Tabella 6: aireplay – opzioni di filtro

Opzioni di replicaDescrizione
-k IPIndirizzo IP di destinazione dei frammenti (quello predefinito è 255.255.255.255)
-l IPIndirizzo IP di origine dei frammenti (quello predefinito è 255.255.255.255)

Tabella 7: aireplay – opzioni di replica 

Nel caso l’operazione abbia successo si otterrà un file contenente le informazioni PRGA, informazioni che sarà possibile adoperare negli attacchi eseguiti tramite il software packetforge-ng.

Attacco di tipo injection test

Classificato come attacco numero nove, esso è utilizzato esclusivamente per l’effettuazione di test inerenti alle funzionalità di packet injection.
Il test principale verifica sia la capacità di invio dei pacchetti sia la corretta ricezione delle relative risposte e, sulla base dei dati ottenuti, fornisce una stima circa la bontà della connessione.
I test possono anche essere effettuati utilizzando uno specifico access point: in questo caso, occorrerà indicare nome e indirizzo fisico MAC del dispositivo desiderato; questo tipo di operazione è utile nel caso esista un solo access point con propagazione del SSID disabilitata.
Nell’esempio successivo verrà eseguito uno di questi test di base al fine di verificare l’effettiva capacità del nostro adattatore di rete di effettuare packet injection: 

> aireplay-ng -9 eth1

Il primo parametro (-9) seleziona la modalità di test e il secondo (eth1) l’adattatore di rete da verificare.
Una volta eseguito il comando, otterremo un risultato del genere:

10:00:31 eth1 channel: 9
 10:00:31 Trying broadcast probe requests...
 10:00:31 Injection is working!
 10:00:32 Found 3 APs
 10:00:32 Trying directed probe requests...
 10:00:32 00:01:5f:5a:C1:2b - channel: 5 - ‘NET1’
 10:00:38 0/30: 0%
 10:00:38 00:02:5f:a8:35:a2 - channel: 6 - ‘NET2’
 10:00:34 0/30: 0%
 10:00:34 00:03:2C:6a:4b:c1 - channel: 6 - ‘NET3’
 10:00:35 Ping (min/avg/max): 1.733ms/2.121ms/4.112ms
 10:00:35 27/30: 90%

Analizziamo nel dettaglio le informazioni riportate in questo output:

  • le prime righe indicano l’interfaccia di rete adoperata e il canale in uso;
  • il messaggio Injection is working! segnala la capacità dell’adattatore di effettuare packet injection;
  • l’indicazione Found 3 APs segnala la presenza di tre access point attivi;
  • le righe successive riporteranno, per ognuno di questi dispositivi, l’indirizzo fisico MAC, il canale adoperato e il nome.

Possiamo osservare che l’access point denominato NET3 è l’unico con il quale è stato possibile comunicare: è possibile accorgersi di questo dalla riga relativa all’esito dell’operazione di ping che riporta i valori minimi, medi e massimi rilevati (1,733 ms, 2,121 ms e 4,112 ms).

Fase 4 – Utilizzo di Aircrack-ng

Aircrack-ng è un software utilizzato per la decodifica delle chiavi crittografiche statiche di tipo WEP e WPA/WPA2-PSK.
Sulla base del traffico catturato da airodump-ng, esso è in grado di tentare l’individuazione della chiave WEP adoperata attraverso differenti approcci:

  • il primo di questi, denominato PTW (acronimo composto dalle iniziali dei nomi Pyshkin, Tews e Weinmann), ha la caratteristica di richiedere l’intercettazione di un esiguo numero di pacchetti;
  • il secondo, denominato FMS/KoreK, cerca di raggiungere il risultato attraverso la combinazione di metodi basati sulla statistica con altri basati su tentativi reiterati (brute force);
  • il terzo approccio contempla l’uso di un file dizionario per la decifrazione della chiave WEP (quest’ultimo è l’unico approccio possibile per quel che concerne le chiavi WPA/WPA2 di tipo pre-shared).

Prima di iniziare a vedere qualche esempio d’uso di aircrack-ng, soffermiamoci un attimo per illustrare, nella tabella 8, tutte le possibili opzioni di questo potente software.

OpzioneDescrizione
-a amodeModalità di attacco ( 1 = WEP statico, 2 = WPA-PSK)
-e essidQuesta opzione è indispensabile per decodificare WPA-PSK quando l’ESSID è nascosto; il suo uso abilita l’utilizzo di tutti gli IV provenienti da reti aventi lo stesso ESSID
-b bssidSeleziona la rete in base all’indirizzo fisico MAC dell’access point
-p nbcpuNel caso di macchine multiprocessore, imposta il numero di CPU da utilizzare
-q noneOpera in modalità silenziosa, mostrando l’output solo quando identifica la chiave (o fallisce)
-c noneNell’operazione di decodifica WEP utilizza solo chiavi alfanumeriche con caratteri compresi tra i valori esadecimali 0x20 e 0x7F
-t noneNell’operazione di decodifica WEP utilizza solo caratteri esadecimali codificati in binario
-d startNell’operazione di decodifica WEP imposta in esadecimale l’inizio della chiave WEP a fini di debug (ricerca errori)
-m maddrNell’operazione di decodifica WEP utilizza l’indirizzo fisico MAC per filtrare i pacchetti dati WEP, oppure permette di utilizzare -m ff:ff:ff:ff: ff:ff per utilizzare tutti gli IV a prescindere dalla rete
-n nbitsNell’operazione di decodifica WEP permette di specificare la lunghezza della chiave; il valore predefinito è 128 (64 = WEP a 40 bit, 128 = WEP a 104 bit ecc.)
-i indexNell’operazione di decodifica WEP utilizza solo gli IV che possiedono per la chiave l’indice specificato da 1 a 4 (per impostazione predefinita, il comando non tiene conto di questo indice)
-f fudgeNell’operazione di decodifica WEP utilizza 2 come valore predefinito per il WEP a 104 bit e 5 per il WEP a 40 bit; valori più alti aumentano le possibilità di successo, ma anche il tempo di esecuzione
-k korekNell’operazione di decodifica WEP sono disponibili 17 attacchi statistici di KoreK; se uno di questi crea molti falsi positivi, nonostante l’uso di molti IV, è possibile adoperare da -k 1 a -k 17 per escluderlo
-x noneNell’operazione di decodifica WEP utilizza la decodifica basata su brute force solo per gli ultimi due byte della chiave
-y noneNell’operazione di decodifica WEP permette l’utilizzo di un tipo di attacco bruteforce particolare quando l’operazione è precedentemente fallita nonostante l’uso di oltre un milione di IV
-w wordsNell’operazione di decodifica WEP indica il percorso del file dizionario da utilizzare

Tabella 8: opzioni relative a aircrack-ng

La sintassi generica da utilizzare è la seguente:

> aircrack-ng [opzioni] <file catturato>

Pur esistendo statistiche abbastanza confortanti circa la possibilità di identificare una chiave di tipo WEP, queste non forniscono alcuna certezza che essa possa sempre essere decodificata o, quantomeno, che questa decodifica possa essere compiuta nei tempi medi staticamente individuati.

Nota
L’opzione k di aircrack-ng prende il nome KoreK da colui che ha implementato la serie di 17 attacchi statistici.

In merito al numero degli IV necessari per questa decodifica, sulla base dei dati oggi disponibili, è possibile dedurre le informazioni riportate in tabella 9.

Lunghezza della chiave in bitnitialization Vector (IV) necessari per la decodifica
40Da 250.000 a 300.000
140Da 1.000.000 a 2.000.000

Tabella 9: Initialization Vector necessari per la decodifica

Dato che l’unica informazione che non è possibile dedurre dall’intercettazione del traffico è proprio la lunghezza della chiave, è consigliabile presupporre inizialmente l’uso di una chiave da 40 bit. Quindi, una volta raccolti circa 250.000 IV, adoperare aircrack per tentare di estrarre la chiave adoperata (opzione –n 64); nel caso l’operazione non dovesse andare a buon fine, si ripeterà l’operazione con un milione (e poi, eventualmente, con due milioni) di IV utilizzando aircrack per la decodifica di chiavi a 104 bit (senza l’opzione –n 64).
Nel prossimo esempio è possibile osservare le operazioni da compiere per cercare di decodificare un file precedentemente creato da airodump-ng, denominato mywepnet.ivs, relativo al traffico di una rete protetta tramite WEP:

> aircrack-ng mywepnet.ivs

La prima schermata di output che otterremo sarà la seguente:

Opening mywepnet.ivs
 Read 462022 packets.
 # BSSID              ESSID Encryption
 1 00:01:02:a1:b2:c3        WEP (567022 IVs)
 Choosing first network as target.

Dato che il traffico sul file è riferito a una sola rete, la selezione verrà effettuata in modo automatico dal programma (Choosing first network as target); in caso contrario, occorrerà specificare manualmente la rete sulla quale operare.

La figura 1 mostra la schermata che si ottiene quando una chiave WEP viene identificata con successo. Al fine di velocizzare le operazioni e operare in modo più comodo, è possibile utilizzare due console di comandi distinte: una per l’esecuzione del comando airodump-ng e una per l’esecuzione di aircrack-ng. Questo modo di operare consentirà un agevole aggiornamento di aircrack-ng ogniqualvolta siano disponibili nuovi IV, senza la necessità di dover, volta per volta, specificare i file con estensione .cap o .ivs ai quali fare riferimento.

Figura 1: identificazione di una chiave WEP
Figura 1: identificazione di una chiave WEP

Nota
Attraverso il parametro -p è possibile far operare aircrack in modalità multiprocessore, in modo da sfruttare le potenzialità delle CPU multi-core.

Fase 5 – Spoofing dell’indirizzo

Qualora, nonostante l’individuazione di una chiave valida, non si riesca in alcun modo ad accedere alla rete, è possibile che sull’access point di questa sia stato abilitato il filtro MAC (che consente l’acceso alla rete solo alle macchine che possiedono un determinato indirizzo fisico), oppure che siano state attivate regole di firewalling per limitare l’accesso a un determinato numero di indirizzi IP.
La soluzione in questi casi è una sola: attendere che una delle macchine identificate tramite airodump.ng sia inattiva e, quindi, impersonarla effettuando quello che viene definito spoofing.
Gli strumenti per effettuare questa operazione sono già disponibili nel sistema operativo ma, nel caso non lo fossero (almeno per quel che concerne la modifica dell’indirizzo MAC), è possibile utilizzare uno dei tanti software gratuiti disponibili su Internet.
Nel caso dei sistemi Microsoft Windows, per modificare l’indirizzo IP è sufficiente operare sulla finestra di configurazione della connessione di rete wireless, mentre per l’indirizzo MAC occorre operare nelle opzioni avanzate relative all’adattatore di rete utilizzato: vi si accede attraverso un apposito pulsante posto nella parte alta della stessa finestra di opzioni citata in precedenza.
Per i sistemi Linux (presupponendo che eth1 sia l’interfaccia di rete wireless) è possibile impostare l’indirizzo IP attraverso il seguente comando:

> ifconfig eth1 192.168.0.1 netmask 255.255.255.0

Per quanto concerne la configurazione dell’indirizzo fisico MAC (presupponendo che esso sia a1:b2:c3:d4:e5:f6), il comando da eseguire è:

> ifconfig eth1 down hw ether a1:b2:c3:d4:e5:f6
 > ifconfig eth1 up

Invece di operare dalla linea di comando (che in questo ambiente rappresenta il mezzo più efficiente), se lo si desidera è possibile avvalersi degli appositi tool grafici di configurazione disponibili sul sistema.

Fase 6 – Accesso alla rete

Una volta identificata e testata la chiave di crittografia utilizzata nell’ambito della rete da violare, è possibile accedevi in modo molto semplice: in ambiente Microsoft Windows, utilizzando le funzionalità per le reti senza fili denominate Zero Configuration (servizio di Microsoft Windows che permette la configurazione automatica degli adattatori di rete wireless), è sufficiente scegliere la rete e indicare al chiave da adoperare; sulle piattaforme Linux, invece, il metodo più semplice consiste nell’eseguire queste istruzioni da una console di comandi:

> iwconfig eth1 mode managed key [KEY]
 > dhcpcd eth1

Il comando iwconfig, simile a ifconfig, viene adoperato per impostare i parametri relativi agli adattatori di rete wireless o, semplicemente, per mostrare questi parametri
o altri dati di tipo statistico: in questo caso è adoperato per utilizzare la chiave identificata in precedenza (KEY) con l’adattatore di rete wireless (eth1) posto in modalità Infrastructure (modo managed); il successivo comando dhcpcd eth1 forza l’acquisizione dei parametri relativi alla rete tramite il protocollo DHCP.
Un successivo utilizzo del comando ifconfig eth1 mostrerà l’avvenuta configurazione dell’adattatore di rete e i parametri a esso associati: l’utilizzo di un qualsiasi servizio di rete verificherà in modo definitivo la funzionalità della connessione conquistata.
Nel caso occorra specificare un indirizzo IP ben preciso, magari perché sull’access point non è attivo un server DHCP, oppure, perché è indispensabile assumere l’indirizzo IP di una precisa macchina della rete (spoofing), invece del comando dhcpcd eth1 possiamo utilizzare ifconfig con la sintassi già vista in precedenza:

ifconfig eth1 192.168.0.1 netmask 255.255.255.0

Questo configurerà la macchina con l’indirizzo IP e la Subnet Mask specificati.

Verifica della chiave con Airdecap-ng

Per verificare l’effettiva identificazione di una chiave valida non è sufficiente effettuare una connessione, in quanto occorre assicurarsi che la chiave sia effettivamente capace di decodificare il traffico della rete in esame: per effettuare questo controllo è possibile ricorrere al comando airdecap, sottoponendogli in ingresso un file codificato catturato in precedenza.
La sintassi per il corretto utilizzo di airdecap può essere visualizzata da riga di comando con il seguente risultato:

usage: airdecap [options] <pcap file>
 -l : don’t remove the 802.11 header
 -b bssid : access point MAC address filter
 -k pmk : WPA Pairwise Master Key in hex
 -e essid : target network ascii identifier
 -p pass : target network WPA passphrase
 -w key : target network WEP key in hex

Per esempio, utilizzando una chiave WEP precedentemente identificata (22b3e117011 319cc25a67e1919), è possibile testarne l’efficacia verificando la sua capacità di decodificare correttamente il file wep-captured.cap:

> airdecap -w 22b3e117011319cc25a67e1919 wep-captured.cap

 Utilizzo di Packetforge-ng

Questo software permette di inviare in rete dei pacchetti cifrati opportunamente realizzati: è possibile generare pacchetti di tipo diverso come, per esempio, quelli UDP, ICMP, ARP ecc.
Uno degli scopi per cui questo software è comunemente adoperato è la generazione di un certo genere di traffico ARP (ARP request).
La realizzazione di traffico cifrato è subordinata al possesso di un file PRGA (Pseudo Random Generation Algorithm), in quanto solo in questo modo è possibile criptare i pacchetti in uscita. Abbiamo visto in precedenza che questo file può essere ottenuto, per esempio, mediante un attacco di tipo fragmentationo KoreK chopchop con aireplay-ng.
Nelle tabelle da 11 a 13 sono indicate le opzioni che è possibile adoperare per la creazione dei pacchetti, per il tipo di dati in ingresso e per la selezione del traffico da generare.

OpzioniDescrizione
-p <fctrl>Specifica, in formato esadecimale, il Frame Control Word
-a <bssid>Specifica l’indirizzo MAC dell’access point
-c <dmac>Specifica l’indirizzo MAC di destinazione
-h <smac>Specifica l’indirizzo MAC di origine
-jAttiva il bit FromDS
-oDisabilita il bit ToDS
-eDisabilita la codifica WEP
-k<ip[:port]>Specifica l’indirizzo IP e la porta di destinazione
-l <ip[:port]>Specifica l’indirizzo IP e la porta di origine
-t ttlConfigura il parametro time to live
-w <file>Specifica il file pcap sul quale indirizzare il traffico

Tabella 10: opzioni di creazione relative a packetforge-ng

OpzioniDescrizione
-r <file>Specifica il file contenente il traffico
-y <file>Specifica il file PRGA da leggere

Tabella 11: opzioni di dati relative ad packetforge-ng

Tipo di trafficoDescrizione
–arpGenera pacchetti di tipo ARP (-0)
–udpGenera pacchetti di tipo UDP (-1)
–icmpGenera pacchetti di tipo ICMP (-2)
–nullGenera pacchetti di tipo NULL (-3)
–customGenera pacchetti di tipo arbitrario (-9)

Tabella 12: opzioni di traffico relative ad packetforge-ng

Un tipico esempio dell’utilizzo di questo software al fine di creare uno specifico traffico di tipo ARP requestè il seguente (si presuppone il possesso di un file PRGA denominato a.xor):

packetforge-ng -0 -a [M1] -h [M2] -k 10.0.0.2 -l 10.0.0.1 -y a.xor -w out

Il primo parametro (0) seleziona il traffico di tipo ARP; il secondo (M1) e il terzo (M2) sono, rispettivamente, l’indirizzo MAC dell’access point e l’indirizzo MAC di provenienza dei pacchetti (scelto arbitrariamente); il quarto parametro (10.0.0.2) rappresenta l’indirizzo di destinazione corrispondente all’interrogazione ARP iniziale Who has this IP, mentre, il quinto parametro (10.0.0.1) è l’indirizzo di origine corrispondente alla risposta ARP Tell this IP; gli ultimi due parametri indicano il file contenente i dati PRGA (a.xor) e quello di output (out).

Utilizzo di Airtun-ng

Questo software, operante esclusivamente sulle piattaforme Linux, permette di creare sulla macchina un’interfaccia virtuale alla quale verrà indirizzato tutto il traffico wireless. Le opzioni, indispensabili e facoltative, relative a questo software, sono riportate nelle tabelle 14 e 15.

OpzioniDescrizione
-x nbppsMassimo numero di pacchetti per secondo (opzionale)
-a bssidImposta l’indirizzo MAC dell’access point (obbligatorio)
-i ifaceEffettua la cattura dei pacchetti dall’interfaccia specificata (opzionale)
-y fileLegge i dati PRGA dal file indicato (opzionale)
-w wepkeyChiave WEP da usare per la codifica dei pacchetti (opzionale)
-t todsDestinazione dei pacchetti 1 = AP, 0 = client (opzionale, default = 0)
-r fileLegge i pacchetti dal file pcap indicato (opzionale)

Tabella 13: opzioni generiche relative ad airtun-ng

Per quanto concerne le opzioni -i e -y, almeno una di queste deve essere adoperata.

OpzioniDescrizione
– -repeatAttiva la modalità ripetizione (è anche possibile adoperare –f)
– -bssid <mac>Identificativo BSSID da ripetere (è anche possibile adoperare –d)
– -netmask <mask>Netmask per il filtro BSSID (è anche possibile adoperare –m)

Tabella 14: opzioni di risposta relative ad airtun-ng

La sintassi generica con la quale usare airtun-ng è la seguente:

> airtun-ng <opzioni> <interfaccia di risposta>

Gli utilizzi possibili dell’interfaccia virtuale realizzata da airtun-ng sono sostanzialmente due: controllo e creazione di traffico arbitrario.

Nota
Se non si utilizza l’opzione -t, come impostazione predefinita, airtun-ng invierà i pacchetti verso i soli client wireless; se si desidera dirigere il traffico verso un access point o una rete di tipo wired, occorrerà adoperare l’opzione -t 1.

Il controllo è tipicamente indirizzato ai dispositivi di tipo WIDS (Wireless Intrusion Detection System), utilizzati per il rilevamento delle operazioni illecite sulla rete.
L’operazione appena descritta può essere effettuata nel seguente modo:

> airtun-ng -a [MAC-AP] -w [KEY] eth1

Il primo parametro (MAC-AP) è l’indirizzo MAC del dispositivo access point da monitorare, mentre il secondo (KEY) è la chiave di crittografia utilizzata e il terzo (eth1) indica l’interfaccia di rete wireless che sta operando in modalità monitor.
Il risultato che si otterrà, in caso di successo dell’operazione, è il seguente:

created tap interface at0
 WEP encryption specified. Sending and receiving frames through eth1.
 FromDS bit set in all frames.

Esso ci informa circa la creazione di un’interfaccia virtuale denominata at0, interfaccia sulla quale sarà presente una copia del traffico dell’interfaccia (reale) eth1.
A questo punto, è possibile operare con questa nuova interfaccia nel modo consueto e scrivere, quindi:

> ifconfig at0 up

L’interfaccia è adesso liberamente utilizzabile da tutti i programmi, compresi appunto gli IDS. Il secondo possibile utilizzo è, invece, quello relativo all’immissione in rete di pacchetti arbitrari. Esso si realizza specificando, nel precedente comando, un indirizzo IP:

> ifconfig at0 192.168.0.10 netmask 255.255.255.0 up

Questo permette di utilizzare qualsiasi software per interagire con la rete wireless. Sul sito del produttore sono comunque illustrati altri possibili utilizzi di airtun-ng.

Mappare la rete su Google Earth con KNSGEM

Da qualche tempo è disponibile sul mercato un software, denominato KNSGEM, in grado di utilizzare i file di log prodotti da software come NetStumbler o Kismet (descritti in seguito) per produrre mappe a colori relative alle aree di copertura wireless individuate durante le operazioni di wardriving.
Il software KNSGEM, definito nel sito ufficiale come una sorta di convertitore in grado di mappare in Google Earth le reti wireless individuate tramite l’utilizzo dei software per lo sniffing, si rivela utile, oltre che nelle attività di wardriving, anche in quei casi dove occorre verificare la reale copertura della nostra rete rispetto al territorio, oppure, per evidenziare quali sono le aree non raggiunte dal segnale (zone d’ombra) o, ancora, per identificare le zone di intersezione tra la nostra rete e altre reti operanti con lo stesso canale; sono davvero molti gli usi possibili di questo software, sia in ambito di attacco sia, ancora più importante, in ambito di difesa e configurazione.

Figura 2: mappatura delle reti in Google Earth
Figura 2: mappatura delle reti in Google Earth

Nella precedente figura 2 è possibile osservare il risultato finale della mappatura effettuata su Google Earth tramite l’ausilio di questo software: le aree dove sono state individuate reti wireless attive sono marcate con colori diversi a seconda se queste siano o meno protette: (colore rosso = rete insicura, colore verde = rete sicura); la selezione con il mouse di una di queste aree permetterà di accedere a un’ulteriore finestra di dettaglio.

Nota
Google Earth è un software in grado di generare immagini virtuali della superficie terrestre, immagini basate su rilievi satellitari e successivamente arricchite da strade, edifici, luoghi di interesse e tantissimi altri dettagli. Esso è distribuito gratuitamente da Google, sebbene esistano versioni a pagamento che presentano particolari caratteristiche avanzate; attualmente Google Earth supporta le piattaforme Linux, Mac OS X e Microsoft Windows. 

L’installazione del software in ambiente Microsoft Windows non presenta alcuna difficoltà, in quanto esso è distribuito tramite un file eseguibile che, se non si alterano le impostazioni predefinite, installa il programma all’interno della cartella C:\knsgem: durante il processo di installazione verrà richiesto il percorso relativo al Borland Database Engine (necessario per il funzionamento del software); anche in questo caso, è sufficiente confermare il percorso predefinito. Dopo aver installato KNSGEM è necessario installare anche il software Google Earth.
Una volta terminate le procedure di installazione, prima di eseguire KNSGEM è indispensabile copiare all’interno della cartella principale del programma C:\Knsgem (se non sono state modificate le impostazioni predefinite) i file generati da NetStumbler (aventi estensione .ns1) o da Kismet (con estensioni .csv, .xml e .gps).
Una volta eseguito, KNSGEM presenterà a video, vedi figura 3, una finestra di dialogo relativa alle fasi di elaborazione dei file in ingresso (.ns1 o .csv, .xml e .gps) e, successivamente, porrà il risultato in un’apposita cartella (C:\knsgem\KML): sarà adesso sufficiente eseguire il file Knsgem_Master.kml per avviare Google Earth e visualizzare al suo interno i risultati.

Figura 3: procedura di importazione all’avvio di un file di tipo .ns1
Figura 3: procedura di importazione all’avvio di un file di tipo .ns1

Il software non dispone di un’interfaccia grafica di configurazione, quindi le possibili opzioni devono necessariamente essere configurate tramite la modifica di un file denominato knsgem.cfg.
Le configurazioni che è possibile compiere riguardano principalmente:

  • i colori di riempimento e dei bordi delle aree evidenziate e delle indicazioni relative al canale e al tipo di protezione (per queste ultime due indicazioni è possibile scambiare i colori);
  • le etichette dei SSID o dei BSSID;
  • alcuni aggiustamenti relativi al tracciamento;
  • il raggio massimo, il tipo di icone e le regolazioni relative al tempo GMT.

Fonti: sito ufficiale KNSGEM; sito ufficiale Google Earth. 

Rivelatori portatili di reti wireless

Molto usati sia nell’ambito delle operazioni di troubleshooting sia per coadiuvare le operazioni di hacking, sono i dispositivi di rilevazione delle reti wireless, denominati solitamente Wi-Fi finder: questi piccoli apparati sono in grado di identificare la presenza di una rete wireless (e non solo) senza la necessità di dover utilizzare un elaboratore.
Mediante il loro utilizzo gli amministratori/utenti sono in grado di stimare la portata degli access point attivi sulla loro rete e allo stesso tempo possono identificare eventuali sovrapposizioni di access point estranei.
Con un Wi-Fi finder un malintenzionato è in grado di mappare grossolanamente un’area che, in caso di riscontro positivo, verrà successivamente passata al setaccio attraverso i canonici strumenti di hacking.
In figura 4 è mostrato uno dei tanti rilevatori reperibili in commercio. Di dimensioni tanto contenute da poter essere usato come un normale portachiavi, esso è in grado di rilevare rapidamente la presenza di una rete Wi-Fi e non solo; infatti, l’intervallo di frequenza nel quale opera (similmente ad altri analoghi rivelatori) è quello compreso tra 1 MHz e 6 GHz, riuscendo in questo modo a rilevare anche altre apparecchiature operanti nel suo raggio di azione come, per esempio, le telecamere di sorveglianza connesse in modalità wireless e diversi tipi di microspie.
A seconda delle funzionalità offerte, il prezzo di questo genere di dispositivi oscilla tra qualche decina di euro e un centinaio di euro.

Figura 4: rivelatore portatile di reti Wi-Fi
Figura 4: rivelatore portatile di reti Wi-Fi

Autore: Roberto Saia – Tratto da: Sicurezza wireless e mobile – Edizioni FAG

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